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  • Immagine del redattoreDr Anna Carlotta Grassi

Il paradosso del Counselor.

Aggiornamento: 6 apr 2018

Ben tornati, cari lettori!

Oggi affronto un tema che mi sta particolarmente a cuore: quello del counselor in Italia.

Se leggete di psicologia sul web, probabilmente vi sarete imbattuti in questa figura professionale, ma a mio avviso c'è molta confusione in merito alle differenze tra psicologo e counselor. Desidero da tempo fare chiarezza su questa figura in quanto in Italia non è regolamentata da leggi né riconosciuta a livello statale e molto spesso questo comporta gravi rischi, sia per le persone in cerca di aiuto che si rivolgono a queste figure, sia per i membri dell'Ordine professionale cui appartengo.


Spesso le persone sono allettate dai counselor a causa delle strategie di marketing scorrette che dipingono lo psicologo come colui che si occupa di psicopatologia e il counselor come il professionista da cui andare se si ha bisogno di uno spazio in cui essere ascoltati, rafforzando lo stigma sociale dell'"andare dallo psicologo perché si è malati o pazzi". Non c'è niente di più sbagliato: il primo, fondamentale strumento di lavoro dello psicologo è proprio quell'ascolto attivo di cui tanto si vantano i counselor.


Partiamo dalle basi: i termini inglesi "counselor" e "counseling" hanno radice comune nel latino "consulo- ĕre" che, tradotto, significa "consolare". Il primo termine indica il professionista, il secondo il servizio fornito. Nel mondo anglosassone, i termini "counseling" e "terapia" vengono utilizzati in maniera pressoché interscambiabile; in Italia, invece, gli stessi termini indicano due cose ben distinte: il counseling è il percorso di sostegno psicologico con un professionista psicologo, e per "terapia" si intende la psicoterapia, tipo di intervento che può essere effettuato solo dagli psicoterapeuti.


Il concetto di counseling nasce nella prima metà del secolo scorso nel contesto della scuola di psicoterapia umanista il cui padre fondatore, nonché esponente più celebre, è Carl Rogers. Secondo Rogers e colleghi il counseling è una pratica psicologica che serve per aiutare la persona in salute psichica ma che sta attraversando un momento di difficoltà, affinché possa superarlo; il ruolo del counselor è quello di accompagnare la persona in questo percorso, aiutandola a far emergere le risorse che possiede ma non riesce ad utilizzare.

Se state pensando di avere già sentito questa descrizione, non vi state sbagliando, anzi, è la definizione da manuale del lavoro dello psicologo.


Ma allora, per avere sostegno psicologico posso andare sia da un counselor che da uno psicologo?

Assolutamente no! Per capire il motivo, occorre innanzitutto analizzare le differenze tra le due figure.

  • Lo psicologo svolge una professione che lo Stato italiano ha istituito nel 1989 (legge 56/89) ed è tenuto per legge ad avere una laurea in Psicologia (triennale, poi magistrale), a portare a termine un tirocinio formativo di mille ore e ad essere iscritto all'Albo nazionale degli Psicologi per poter esercitare la professione. Inoltre, lo psicologo è l'unico ad essere tenuto al segreto professionale, a poter produrre certificati e a fatturare prestazioni che sono totalmente detraibili da parte dell'assistito;

  • Quella del counselor non è una professione istituita per legge, ma può essere inquadrata nella legge 4/2013, che individua tutte quelle professioni che non necessitano di iscrizione ad un albo professionale per essere esercitate e per le quali non è previsto alcun tipo di obbligo formativo. In altre parole, il counselor non è tenuto ad avere una formazione universitaria specifica e può ottenere la qualifica con corsi che rilasciano un attestato privato, titolo non riconosciuto dallo Stato e pertanto non avente lo stesso status dell'iscrizione ad un Albo professionale.

Quindi possiamo affermare che il counselor non è formato per effettuare interventi di sostegno psicologico sulle persone e che addirittura è una figura professionalmente non riconosciuta a livello statale.

Come se non bastasse già questo, una sentenza della Corte di Cassazione di un paio di anni fa ha condannato una counselor per esercizio abusivo della professione di psicologo, stabilendo che l'unico professionista autorizzato ad effettuare counseling (come qualsiasi trattamento di tipo psicologico) è lo psicologo.

Tale sentenza rappresenta una grande vittoria per noi professionisti psicologi, in quanto è la dimostrazione della tutela da parte dello Stato: nel dovere deontologico di difendere la nostra categoria professionale siamo ora sostenuti da una dichiarazione niente meno che della Cassazione.


Il momento della scelta del professionista della salute a cui affidarsi è delicato e complesso: i possibili pazienti vanno tutelati e protetti da figure non preparate ad accogliere le loro richieste di sostegno e non posso sottolineare a sufficienza quanto sia importante non farsi sedurre da altisonanti parole straniere e promesse esagerate.

Il primo passo per prendersi cura del proprio benessere psicologico è assicurarsi di scegliere una figura professionale che abbia una formazione specifica in Psicologia e che sia riconosciuta dallo Stato italiano.



Per essere sicuri di mettersi nelle mani giuste, basta controllare che il professionista che desideriamo contattare sia iscritto all'albo nazionale degli Psicologi.


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